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AMARE CIÒ CHE È

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Mt 22, 34-40

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, qual è il piú grande comandamento della legge?" Gli rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il piú grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti."

*****

Sembra che ci fosse, all'epoca di Gesú, una discussione tra i rabbini su quale doveva essere il comandamento piú importante. Alcuni di loro rispondevano che il primo di tutti era l'osservanza del sabato.

Quando interrogano Gesú, questi risponde secondo l'ortodossia tradizionale: il primo comandamento per un ebreo è il famoso Shemà Israele ("Ascolta, Israele"), cosí come fu raccolto nel Libro del Deuteronomio (6,4-9). Questo è il primo comandamento e il viverlo cosí è il criterio che ci fa scoprire che siamo in linea con il progetto del Regno, di cui parlava lo stesso Gesú.

Nella sua risposta, Gesú unisce il Shemà Israele con l'amore del prossimo, associando in questo modo due testi della Torà: Dt 6,4-5 e Lv 19,18. Tuttavia, neppure quest'unione sarebbe completamente originale di Gesú, poiché il suo stesso interlocutore -un altro rabbino- la riconosce nello stesso modo.

In realtà, non può essere diversamente: l'amore non si può frazionare; si dà o non si dà. Unicamente il pensiero dualistico poté separare entrambe le dimensioni, al punto che sembrava possibile amare Dio senza amare gli altri e senza amare tutta la realtà. Per la mente, tutto sono oggetti separati, per cui non ha nessun problema ad immaginare relazioni ugualmente "separate". La realtà, però, non è duale. Non esiste un Dio separato, che possa essere oggetto del nostro amore, al margine di tutto ciò che è. Per questo, in realtà -Gesú stesso l'aveva affermato (Mt 7,21)-, ama Dio chi ama tutto ciò che esiste. E chi fa questo, dice Gesú, "non è lontano dal regno di Dio".

Un immaginario "amore a Dio" che si credesse di poter vivere al margine dell'amore agli altri sarebbe soltanto una finzione ingannevole della persona che cerca di giustificarsi e, forse, di porre la sua sicurezza nell'idea che cosí "obbedisce" a Dio. L'amore non c'entra né con l'emozione né con il volontarismo, ma nasce dalla certezza della non-separazione e diventa un abbraccio gratuito e incondizionato.

Come in tanti altri passaggi del vangelo, Gesú pone l'etica al di sopra della religione nell'affermare che "da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti". L'amore è il fondamento stesso della Torà, di tutta la rivelazione.

Davanti alla chiarezza che si percepisce nel vangelo, si fa fatica a capire che, nella tradizione cristiana, sia l'autorità religiosa sia la stessa predicazione abbiano avuto delle riserve su questa impostazione. Sembrerebbe che, a differenza di Gesú, il quale cercava solo il bene delle persone, la religione cerchi innanzitutto di autoaffermarsi. Ma -il Maestro lo disse chiaramente- il primo comandamento non è "salvare la religione", bensí vivere nell'amore.

L'amore -dicevo sopra- non nasce da alcun tipo di volontarismo, ma dalla comprensione di chi siamo. Si basa, dunque, sulla certezza che tutti siamo cellule di un unico organismo. Quando questo si vede, l'amore fluisce per sé stesso, sebbene dobbiamo stare attenti all'inerzia dell'ego, che vede le cose in modo radicalmente diverso. Si attribuisce a Platone un detto molto bello: "L'Amore consiste nel sentire che l'Essere sacro batte dentro l'essere amato". Facendo piú estesa quest'affermazione, si potrebbe dire che l'Amore consiste nel vedere in ogni essere l'Essere uno o la Coscienza che siamo; nello scoprire in ogni volto il proprio volto, Quello che tutti condividiamo.

In una prospettiva non-duale, "amare Dio" equivale ad amare ciò che è. Dio non è un Ente individuale separato, che richieda amore e sottomissione in un modo egolatrico.

Dio è Ciò che è, assolutamente ineffabile e radicalmente non-separato da tutto il reale. Consapevoli dei limiti mentali e verbali, forse si potrebbe dire che Dio è l'Ipseità di ciò che è.

Questa Ipseità ultima del reale è Consapevolezza e Amore, nucleo unificatore di tutto l'esistente e saggezza che regge tutto il processo in cui si va dispiegando. Amare Dio, quindi, significa amare ciò che è.

La nostra mente divide tutto in due blocchi nettamente differenziati: ciò che le piace e ciò che non le piace. Una volta che lo ha etichettato, cercherà di afferrarsi ad esso (se le piace) oppure lo rifiuterà (se non le piace). Questo spiega che l'ego funzioni fondamentalmente a partire dalla "legge dell'attaccamento e dell'avversione".

La mente (l'ego), pertanto, è incapace di amare tutto ciò che è. Ed è qui che si trova, appunto, la causa della confusione e della sofferenza. È la nostra resistenza a ciò che è quella che provoca la sofferenza. La saggezza consiste nell'amare ciò che è. Prima di mettergli etichette, al di là dei giudizi che la nostra mente stabilisca, amando ciò che è ci allineiamo con il momento presente, smettiamo di resistere e cominciamo a fluire con la Saggezza della vita.

Nel fluire, è la Vita stessa (Dio) che si esprimerà attraverso di noi: saremo diventati dei "canali" attraverso i quali la vita fluisce. Si recupera l'armonia e appare l'azione adeguata in ogni momento.

Sono consapevole che la mente non può "capire" quest'impostazione, che per la mente risulta assurda e perfino "ingiusta" (con tutta la batteria di etichette aggiunte di cui la mente è esperta). Bisogna sperimentarlo. Tuttavia, c'è un indizio che mi sembra eloquente: quando la nostra mente è in pace, ciò che vogliamo è ciò che è.

 

Enrique Martínez Lozano

Traduzione: Teresa Albasini

www.enriquemartinezlozano.com

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