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-

RIMANERE IN CIÒ CHE SIAMO

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Gv 15, 9-17

Come il Padre ha amato me, cosí anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore piú grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo piú servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

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Solo nella prima parte del capitolo 15 appare sette volte uno dei verbi preferiti dall'autore del quarto vangelo: ménein, che può essere tradotto come "stare", "dimorare" o "rimanere". Comporta l'idea di uno stare-in, in maniera continuata e stabile, al punto di divenire "uno" con colui con cui si rimane.

Gesú ha la consapevolezza di rimanere nel Padre e nei discepoli, e desidera che anche i suoi discepoli ne siano consapevoli. Tutto rimane già, e da sempre, nell'Unità, perché non può esistere niente al margine di niente. Occorre solo prenderne consapevolezza, uscire dall'inganno cui la mente ci induce, per poter riconoscerlo e viverlo. Non siamo isolotti separati: sempre siamo-in e siamo-con.

Il dimenticarci di questa realtà fa sí che ci riduciamo all'ego -l'identità che ci fornisce la nostra mente- e viviamo a partire da questa credenza. Egocentrismo, individualismo, solitudine, paura, ansia, scontro... sono le prime conseguenze di quest'inganno.

Rimanere in Gesú e nel Padre equivale a sperimentarci in quell'identità profonda che è non-duale e, pertanto, condivisa. Non è possibile un'intimità maggiore: al di là delle "mappe" che rappresentano le credenze e le religioni -mappe valide in molti casi-, ci riconosciamo nel "Territorio" comune. Andando oltre il pensiero di essere "tralci" separati, scopriamo di essere "vite" unificata.

E questo è Gioia, gioia che "nessuno può togliere". Perché non si trova in balia di quello che possa accadere, ma costituisce il fondo stesso che siamo e che condividiamo con tutti gli esseri.

È la gioia permanente, che può convivere con moti emozionali di diverso genere, come quella spaziosità non-duale che abbraccia sia gioie sia tristezze piú superficiali ed episodiche.

E la Gioia è anche uno con l'Amore. "Ama e fa ciò che vuoi": in questa massima riassumeva sant'Agostino il comportamento morale del cristiano. Per il vangelo, è cosí: l'unico comandamento di Gesú -"i comandamenti del Padre mio", "quello che io vi comando"- è l'amore.

Eppure i manuali, i catechismi e le predicazioni hanno elaborato liste interminabili di comandamenti, arrivando in certi casi ad una casistica che oggi ci farebbe arrossire.

I fattori che spiegano questo slittamento sono diversi: la necessità di ogni gruppo di darsi un ordinamento giuridico; la necessità di rispondere a situazioni concrete della vita quotidiana; la necessità di "tranquillizzare" la coscienza -è sempre piú facile e meno esigente osservare una lista di precetti che, semplicemente, amare-; l'esercizio del potere, da parte dell'autorità, sotto forma di controllo delle coscienze... Tuttavia, di fronte a questi o altri motivi, è bene tornare all'originalità di Gesú: "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri".

 

Enrique Martínez Lozano

www.enriquemartinezlozano.com

Traduzione: Teresa Albasini

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