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LA NUBE DELLA NON-CONOSCENZA

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Lc 9, 28-36

Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salí sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesú: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava cosí, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscí una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò, Gesú restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

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Un libro classico sulla contemplazione cristiana s'intitola "La Nube della non-conoscenza". Si tratta, in realtà, di due piccoli libri pubblicati in un unico volume, che prende il nome dal primo di questi. Il titolo originario del secondo è: "Il libro del consiglio privato". (Questo libro lo si può trovare in diverse edizioni italiane).

È un libro di un autore inglese anonimo, del secolo XIV, che vuole introdurre nella preghiera contemplativa un discepolo. Alla fine, l'insegnamento si riduce a un solo punto: "Permettiti di entrare e di rimanere nella nube della non-conoscenza".

Mi è venuto questo titolo -cosí come tutto l'insegnamento dei mistici cristiani circa il "non-sapere"-, leggendo nel testo di Luca che "una nube li avvolse".

La "nube" mette spavento nei discepoli, eppure contiene parole di rivelazione e di vita, che svelano la nostra identità piú profonda: siamo "il Figlio". È proprio nella "nube", ci diranno i mistici, che possiamo realmente vedere.

Se tutto l'umano -per il fatto di essere profondo- è necessariamente paradossale, questo vale ancor di più quando vogliamo riferirci direttamente al Mistero. Si parlerà allora di "raggio di tenebra" (Pseudo Dionigi), di "solitudine sonora", "musica silenziosa" o "notte amabile piú dell'alba" (san Giovanni della Croce)...

La nube, pertanto, è sempre luminosa. È chiusamente oscura per la mente, che in essa si perde. Ma proprio per questo, quando la mente si arrende e tace, emerge un'altra sapienza che ci mette in contatto con la nostra verità piú profonda, con il mistero di Ciò che è.

Dicevo prima che i mistici cristiani hanno insistito sulla sapienza del "non-sapere" come mezzo per raggiungere la "conoscenza" (un altro paradosso). Se traduciamo "non-sapere" come "non-pensare", forse potremo capirlo meglio.

In effetti, quando impariamo a far tacere la mente, diviene possibile la visione: "Entrai dove non sapevo, / e là rimasi non sapendo, / ogni scienza trascendendo", proclama il mistico di Fontiveros.

L'identificazione con la mente costituisce un velo opaco che ci mantiene nell'ignoranza e l'oscurità. Poiché, senza altro punto di riferimento al di fuori di questa, tendiamo a credere che le cose sono come questa le vede, e cadiamo nel tranello di confondere la realtà con l'interpretazione che la mente ci offre della stessa. Questa è la piú grande ignoranza in cui possiamo cadere, assumendo come reale ciò che non è altro che una proiezione mentale. Da questa ignoranza iniziale ci possiamo aspettare solamente confusione e sofferenza.

Per "vedere", dobbiamo imparare a far tacere la mente, permettendoci di entrare in un'attitudine di rispetto, stupore, ammirazione e gratuità. Qui percepiremo che la presunta separazione che la nostra mente rispecchia non è che un miraggio: la realtà è che non c'è niente separato da niente.

E a poco a poco, nella misura in cui cominceremo a familiarizzarci con quest'altra sapienza, previa alla ragione, impareremo a riposare nella coscienza-senza-pensieri, come "luogo" (o non-luogo) della nostra vera identità.

Non importerà che la nostra mente non abbia risposte per tutte le domande (come potrebbe una parte del tutto sapere il funzionamento della totalità?) Avremo sperimentato che possiamo risposare in ciò che è, di un modo diretto e immediato. E, quando questo si vive, siamo, come Gesú con i discepoli, sul monte Tabor -il non-luogo della divinità-.

Se ci percepiamo agitati, irritati o infastiditi, questo è un segno che siamo identificati con la mente, con i pensieri e i sentimenti che appaiono nel nostro campo di coscienza, al punto di credere che siamo quei pensieri.

Ogniqualvolta ciò accada, prendi le distanze da essi. Sono solo oggetti che, cosí come sono apparsi, spariranno. Con l'aiuto della respirazione o del corpo, entra in contatto con le tue sensazioni piú profonde. Senti come, non seguendo i meandri della mente erratica, appare una coscienza spoglia di pensieri nella quale puoi riposare, senza bisogno di "riempirla" di alcuna cosa. Questo "puro stare" è un altro modo di nominare la "nube della non-conoscenza": è il silenzio contemplativo, la visione della sapienza.

Chi lo sperimenta, può esclamare con san Giovanni della Croce: "Là rimasi e tutto dimenticai, / il volto sull'Amato reclinai, / tutto cessò e mi abbandonai, / lasciando ogni pensiero / tra i gigli dimenticato".

 

Enrique Martínez Lozano

www.enriquemartinezlozano.com

Traduzione: Teresa Albasini

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